Cosa significa studiare “Canto Moderno”

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Se sul piano storico, politico ed economico si può considerare il novecento il “secolo americano”, sul piano musicale lo si potrebbe definire come il “secolo afro-americano” perché è dall’incontro di queste due culture che hanno origine i modelli musicali che oggi sono dominanti in tutto il mondo. 

Per parlare del Canto Moderno bisogna guardare proprio alla storia del secolo scorso e alla necessità di una comunicazione libera: dai campi di cotone della giovane America, dagli Spirituals al Blues, dalle Worksong, il canto dei neri che migrano a Nord, fino alla nascita del Jazz, la complicanza armonico-melodica dovuta all’incontro di due concezioni ritmiche e musicali diverse. 

Le considerazioni storiche aiutano a comprendere come la cultura di origine africana, pur in condizioni drammatiche, ebbe modo di radicarsi nei secoli in tutte le Americhe, innestandosi nella formazione culturale di tipo europeo dominante in quei luoghi. Questo fenomeno rivoluzionò le prassi esecutive riportando la musica ad una centralità del corpo umano e dell’oralità, in cui la voce si fa strumento di una forte esigenza comunicativa che necessita della “parola” per esprimere un concetto. 

L’espressione artistica diviene la risposta ai grandi cambiamenti sociali e politici dell’uomo del secolo scorso e la chiarezza dei contenuti fa la grande differenza con il passato: se nel canto lirico le parole dei libretti sono il mezzo e l’espressione vocale il fine, nel canto moderno il rapporto si capovolge. Nonostante queste caratteristiche non siano fenomeni estranei alla storia della cultura occidentale, è come se dopo secoli in cui il segno grafico si era andato progressivamente astraendo dal suono, l’oralità abbia fatto di nuovo irruzione. 

Il canto moderno è il frutto di una necessità espressiva immediata, efficace, comprensibile, popolare. Ancora di più del contenuto melodico-armonico è proprio la disposizione ritmica delle note a rivelare l’unicità della concezione espressiva di questo tipo di musica: ecco perché la scelta di una lingua come quella anglofona per molti stili come il soul, il rap, il funk, il reggae, il R&B, anche per i non madrelingua. La capacità di sintesi dei concetti nella costruzione delle frasi e l’abbondanza di consonanti rende la lingua inglese perfettamente coerente con questo stile musicale. La voce cantata diventa la naturale estensione del parlato e c’è sempre meno interesse per abbellimenti e mielosità perché il suono della parola racconta una storia che può essere sussurrata o addirittura bisbigliata, grazie al microfono che la rende udibile. 

La tecnologia è infatti intimamente collegata alla musica moderna ed è il mezzo che la supporta, la realizza e la sublima già dai primi passi, regalandoci la possibilità di registrare e di amplificare gli strumenti.  Per un cantante contemporaneo l’utilizzo del microfono non è dovuto, quindi, alla mancanza di una voce potente e un cambio di tonalità non è imposto dalla propria estensione vocale, bensì dalla scelta di un ambiente sonoro coerente con la personale interpretazione. 

Purtroppo sono molte le situazioni in cui si affronta l’educazione alla musica moderna con una visione legata al mondo classico e concertistico, avvalorata da un contesto socio-culturale che vende all’estero un mondo legato ancora a Puccini o Vivaldi, il magnifico ‘900 italiano che all’epoca era più vivo di oggi, fatto di improvvisatori e musicisti ipersensibili che, impossibilitati a registrare, erano costretti a scrivere. 

Con la nascita dei conservatori e l’idea di riprodurre fedelmente quella musica dalla lettura a prima vista da uno spartito, quel mondo musicale, quanto mai vivo e reattivo, è morto sul serio. 

Forse è a causa del nostro passato glorioso che abbiamo ancora una visione troppo parziale delle espressioni musicali dei giovani musicisti di oggi. 

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Questa idea differente di come si canta farà proporre alle nuove generazioni un tipo di allenamento che è generalmente indirizzato verso una voce piena, omogeneizzando i passaggi di registro, ricercando uno spartito che indichi i filati o i fiati e quante più indicazioni è possibile sulla modalità di esecuzione corretta. Non è la constatazione di una cattiva intonazione o la poca capacità di gestione del fiato ciò a cui mi riferisco, bensì quelle modalità di emissione tipiche di alcuni stili che ancora oggi, per molti, sono ritenute come deficitarie. Mi riferisco ai cambi di registro, gli shift, i riffs and runs, i flip, oppure ai glissati di posizione all’esordio della voce, che nel canto moderno, si definiscono stress, che lasciano pensare ad una intonazione poco precisa se si è cresciuti nella cultura classica. La mancanza di conoscenza dello stile e del linguaggio della musica moderna fa proporre linee di sbarramento tra ciò che è giusto fare e ciò che è sbagliato anche da parte di educatori esperti che fanno però riferimento ad altri stili musicali. A partire dall’utilizzo di una lingua differente dall’italiano, quello che prevede un uso dei risuonatori e del tratto vocale completamente diverso, dovrebbe far ripensare ad un allenamento diverso da quello che viene generalmente proposto. 

 

Nel rispetto della nostra grande musica e del belcanto, in molti paesi diversi dall’Italia, si studia la dizione italiana per poter affrontare un repertorio classico, mentre del canto moderno spesso si allenano gli studenti a esprimersi in una lingua che suona diversamente senza però allenarli alla concezione di almeno 14 vocali dal punto di vista fonetico e non solo le 7 prevista dalla nostra lingua vocalica.

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