M.A.D. (Music Aptitude Development) è il nome dato al modello didattico per lo sviluppo delle capacità musicali, concepito direttamente per la Musica Moderna Popolare e, quindi, svincolato dalle eredità mutuate dall’insegnamento della musica esatta o scritta.
Non c’è nulla d’innovativo in questa concezione didattica se non che la Musica Moderna Popolare è un’attività sostanzialmente diversa dalla musica classica; di conseguenza, l’educazione al canto necessita di approccio, modalità e procedure nuovi rispetto a quelli generalmente in uso.
Io insegno canto moderno e da circa venti anni ho la responsabilità di allenare le persone che incontro a lezione ad esprimere il proprio mondo emotivo con una voce che sia degna di rappresentarlo. La crescente necessità di regole e di metodi, la ricerca di perfezione, l’ansia e il senso di smarrimento profondo degli studenti, figli di questi anni così poco rassicuranti, mi hanno imposto di rivedere più volte le priorità e le competenze necessarie per accompagnare le nuove generazioni di artisti. Credo che la didattica del Canto Moderno sia ancora tutta da scrivere e le motivazioni sono varie, a cominciare dalla sua teoria che generalmente è tratta da pubblicazioni provenienti dall’estero che non tengono conto del contesto musicale, sociale, didattico e culturale del singolo individuo. A ciò dobbiamo aggiungere che le traduzioni dei testi risultano spesso assolutamente inaffidabili. È cruciale che un docente possa comunicare le modalità adottate attraverso pubblicazioni il più ampiamente accessibili e ricche di informazioni, siano essi metodi o proposte teoriche ad ampio raggio, ma soprattutto ricerche sulla pratica. Senza pubblicazioni affidabili la valutazione dei percorsi formativi attualmente esistenti non può che risultare priva di fondamenti oggettivi. Quello che ci resta è l’insegnamento orale ed esperienziale ma, tante volte, è proprio la pratica personale di chi insegna che manca. Educare uno strumento invisibile è una vera e propria opera di sintonizzazione nell’altro, un capolavoro di empatia da parte di chi insegna, un viaggio interiore per chi sta imparando. Lavorare sulla voce significa aumentare la propriocezione, acquisire cioè la capacità di percepire il movimento delle parti che partecipano al suono imparando ad abitare il proprio corpo, trasformando i movimenti emotivi in carburante per fare musica, aumentando la capacità di comunicare quel mondo interiore che nelle parole non può essere contenuto.
Musica diversa, linguaggio differente, allenamento specifico
Per molto tempo è stato utilizzato un vocabolario condiviso già dall’allenamento, anzi lo abbiamo proprio ereditato dalla cultura classica e dal belcanto, dando adito ad una grande confusione. Molte persone si presentano alla prima lezione di canto dichiarando che non sanno “cantare con il diaframma”, che non sanno “respirare con la pancia”, oppure che non hanno una “vera estensione”. Molti studenti hanno le idee talmente confuse che alla richiesta di indicare il movimento del diaframma in fase espiratoria, indicano con le mani un vettore di direzione verso il basso. La confusione peggiora se parliamo di registri e meccanismi, di colori della voce e di modalità di emissione ad “alto e basso costo”. In generale, il panorama didattico offre un vocabolario confusivo e non sempre mirato allo scopo specifico. L’affermarsi sempre crescente di metodi per educare a questo tipo di linguaggio, la tendenza a definire cosa e come si deve cantare può generare paura nel cantare liberamente. Molte metodologie sono pensate e applicate lontane dalla musica e quindi, assolutamente inefficaci nel gesto di cantare perché, la voce, privata dell’immaginazione sonora, non potrà essere una vera espressione emotiva personale. Ogni metodo può offrire possibilità di risoluzione ad un problema vocale, ma è spesso la visione di unicità offerta dai maestri a renderlo inefficace.
Di seguito, riporto sinteticamente alcune tra le principali differenze stilistiche tra Canto Classico e Canto Moderno. Questa tabella è ispirata dal Maestro Paolo Zedda, compianto Professeur de Diction lyrique italienne al Conservatorio di Parigi.
Canto Classico | Canto Moderno |
Esecuzione acustica | Esecuzione con amplificazione |
Ricerca di un emissione eterogenea | Ricerca di un emissione nei vari meccanismi |
Ricerca costante della formante di canto (rinforzo dai 2500-3000 hertz) | Modalità di emissione nei vari meccanismi |
Laringe stabilmente bassa | Laringe mobile |
Faringe rilassata | Faringe a disposizione dei movimenti articolatori per la comprensibilità delle parole |
Velo palatino alto | Velo del palato sensibile a più modificazioni |
Postura nobile | Ricerca della verticalità |
Pressione sottoglottica bassa | Pressione sottoglottica anche alta |
Tradizione colta | Tradizione popolare |
Trasmissione scritta | Trasmissione orale |
Tonalità imposte dal compositore | Possibilità di cambi di tonalità e andamenti ritmici |
Il cantante è interprete costantemente teso verso la interpretazione ideale | Il cantante è interprete autonomo e spesso compositore e autore |
Già da queste considerazioni si può comprendere che l’utilizzo della voce nei diversi tipi di musica necessita di un allenamento specifico nel rispetto dello stile e del linguaggio di appartenenza.
Ciò non significa che non si possano conoscere e praticare più stili ma solo che, a partire dall’apprendimento, si dovranno seguire regole di allenamento differenti, per ciascuno di essi.
Cosa hanno in comune psicologi e insegnanti di canto?
Apparentemente niente, in realtà molto, a partire dal naturale interesse verso l’altro che li porta a definire un rapporto di lavoro: raggiungere un obiettivo, superare delle difficoltà, apprendere nuovi strumenti, utilizzare al meglio le proprie risorse riconoscendone i limiti, abitare tutte le parti di sé. Questo, se riferito a quella particolare età del nostro ciclo vitale chiamata adolescenza, assume una valenza quanto mai importante perché si parla di un periodo in cui tutto è confuso, in discussione, estremizzato e precario.
Gli adolescenti, dai ragazzini ai giovani adulti, che si rivolgono e frequentano una scuola di musica, per imparare a suonare uno strumento o a cantare, da soli o in gruppo, hanno scelto una strada per definirsi. Provano, attraverso la musica, a ricercare una propria identità.
Possono esserci svariati motivi dietro questa richiesta, non sempre chiari nemmeno a chi la fa.
Quello che è chiaro e socialmente condiviso è che cantare e suonare può far stare bene e lo “stare bene” non è di certo uguale per tutti, ma è legato alla storia personale di ognuno ed ha totalmente a che fare con le emozioni: provate (o non provate), espresse (o non espresse), gestite (o non gestite, bloccate o lasciate esplodere).
Non tutti gli adolescenti hanno bisogno di una psicoterapia.
Nemmeno tutti coloro che frequentano un corso di musica ne hanno.
Si riscontra però che una larga parte di entrambi, ad un certo punto del percorso di apprendimento si blocca o regredisce o ha maggiori difficoltà e va in crisi.
Oppure in crisi non ci va neanche, perché non è mai partito veramente ed è ancora impegnato in un lavoro superficiale che non permette ai suoi insegnanti di farlo andare avanti e crescere.
Nasce da qui l’esigenza di un progetto che promuova il benessere psicologico come elemento di forza unito e strettamente collegato a quello che una scuola di musica già offre in termini di promozione di cultura, educazione e creazione di opportunità per i ragazzi.
Ricerche su voce e stili di personalità
con Giuseppe Roberto Troisi, psicologo e psicoterapeuta.
“Se una persona deve recuperare il suo pieno potenziale di auto espressione è importante che acquisisca il pieno uso della voce in tutti i suoi registri e in tutte le sue sfumature affettive (….) il blocco di un qualunque sentimento influisce sull’espressione vocale.
Perciò è necessario sbloccare i sentimenti, ma è necessario lavorare sulla produzione del suono per eliminare le tensioni presenti.”
Tratto da Il tradimento del corpo, di Alexander Lowen e C. Mingione. ed. Mediterranee,1983
Verso una relazione didattica di successo
A lezione di canto ognuno porta con sé un bagaglio di aspettative che all’interno dell’intersecato contesto delle relazioni possono rivelarsi anche ostacolanti nel caso in cui non siano ottenimenti possibili, per ragioni diverse. Un’aspettativa ha però di bello che è anche un’aspirazione, un desiderio, un sogno, è una proiezione verso qualcosa che potrebbe o dovrebbe realizzarsi. Talvolta vi sono prefigurazioni precise anche nei dettagli e nelle condizioni, altre volte, invece sono vaghe e imprecise, ma non per questo meno forti. L’aspettativa è la prova di un movimento nel mondo interiore la cui presenza significa vita, dinamismo, assenza d’inerzia, perché mette in moto emozioni, timori e speranze.
“Un buon didatta ha una lettura del comportamento corporeo e vocale dell’allievo ma talvolta non sa collocare la sua conoscenza all’interno del significato della domanda relazionale che l’allievo gli sta ponendo; l’integrazione con strumenti relazionali può aiutarlo ad integrare le sue letture con quella del gioco relazionale, a partire dalle emozioni suscitate dall’allievo dentro di lui, per arrivare al gioco più ampio di come, per l’allievo, il didatta diventa una pedina nel suo gioco relazionale.
Dare una risposta a questa domanda implicita può, in alcuni casi, prevenire blocchi nella crescita vocale, abbandoni se non veri e propri momenti di difficoltà nella persona del didatta stesso.
Conoscere e analizzare questi processi può essere utile per verificare quali sono gli aspetti relazionali che fanno emergere elementi di facilitazione nel proprio lavoro didattico.”
Un maestro di canto insegna, con la passione per il proprio lavoro, con onestà e in buona fede ma non sono le sole qualità sufficienti per stabilire una relazione efficace per la crescita. Nell’incontro con i nostri studenti dovremmo sempre domandarci come possiamo strutturare questa relazione in modo da offrire un contesto sicuro in cui possano imparare.
La relazione che si stabilisce con un maestro di canto è intima e altamente emozionale e, come in tutte le relazioni importanti, si può assistere ad un’alternanza di sentimenti e stati d’animo anche molto in contrasto tra di loro. Rispetto ed emulazione, impazienza e incomprensione, esaltazione e frustrazione. L’unica costante in ogni momento resta l’intimità profonda di questa relazione che a volte si può ridurre ad una ricostruzione quasi fedele del rapporto genitoriale di origine.
L’intensità emotiva nell’esperienza di una relazione didattica sfocia in sentimenti forti e anche affetto profondo, ma a volte, le dinamiche interpersonali ricordano proprio quelle del modello di attaccamento di origine familiare, modello in cui, se non ci attrezziamo, rischiamo di fare solo da interpreti di una storia già scritta perdendo la possibilità di intervenire nella crescita vocale e artistica del nostro interlocutore.
La relazione ad alto fattore emotivo tra maestro di canto e allievo, è guidata dai principi di cura e protezione e, proprio come per quella genitoriale, attiva i meccanismi relazionali propri della modalità di attaccamento.
Ho dovuto necessariamente approfondire la conoscenza dei meccanismi che regolano le relazioni affettive per guadagnarmi la possibilità di essere più efficace nei miei interventi didattici senza essere soltanto una pedina nel gioco relazionale.
Il coefficiente di fattore umano, l’affetto, che interviene nella relazione tra allievo e maestro può risultare una grande risorsa se si riconsiderano però alcuni degli elementi che generalmente vengono dati per scontati.